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Wednesday, March 18, 2009

Gli italiani e Facebook

Gia' agli albori di questo mio piccolo blog mi ero ripromessa di farlo bilingue e di scrivere dunque dei post in italiano. Ma poi e' andata come e' andata. Adesso rimedio un po' e comincio con una tiratina d'orecchi agli italiani.

E' da un pezzo che sono venuta a sapere che gli italiani hanno adottato Facebook alla grande. Forse non dovrei esserlo ma sono abbastanza sorpresa. Premetto che trovo questo sito esecrabile. Non riesco a capacitarmi del motivo per cui si avrebbe bisogno di un sito Web per "gestire" (che brutta espressione) i propri "amici". Premetto anche (e si dovrebbe capire gia' dal fatto di avere un mio sito abbastanza completo e longevo) che apprezzo moltissimo Internet e le molteplici possibilita' che presenta non solo per l'informazione ma per una socialita' piu' trasversale ed allargata. Ma di tutte le cose che si possono fare con un computer- leggere interi libri, guardare film o You Tube, mandare mail, partecipare a forum in tutto il mondo, consultare giornali internazionali, chiedere informazioni, fare corsi online, tenere un blog, persino lavorare (se proprio si deve) - far parte di Facebook e' proprio l'ultima che mi verrebbe in mente. Che dire di quelli che usano la funzione "adesso sto facendo questo e quello"? Machissenefrega. E quelli che hanno due-trecento "amici"? E quelli (la maggior parte) che non hanno letto a fondo le condizioni d'uso, e che sbagliano le impostazioni della privacy, lasciando trapelare urbi et orbi tutti i loro fattacci?

Sono sorpresa anche perche' l'Italia ha (o almeno ha avuto) una lunga tradizione della sinistra che mi sembra non sia servita a un bel niente. Mai sentito parlare di Marx, la mercificazione e l'alienazione? A scanso d'equivoci, non sono mai stata marxista, ma diciamo che un sano senso critico che viene da sinistra ci vorrebbe, eccome. E non mi soffermo neanche sull'uso dei Suv in Italia, o dei reality show (contraddizione in termini). Mi sto gia' deprimendo da sola.

Ma adesso vi lascio nelle mani di un giornalista del Guardian che la pensa come me. E che dunque ha ragione.